“Federico Berti” è aureato al D.a.m.s. di Bologna con una tesi sulla narrazione, fra il 1995-2000 svolge ricerche sul campo nel teatro di strada contemporaneo. Ha collaborato con Ascanio Celestini, Angela Baraldi, Grazia Negro e altri artisti più o meno famosi. Nel 2001 si stabilisce a Monghidoro, dove risiede stabilmente e collabora con l’associazione culturale “Bene Venga Maggio”.
Quando hai deciso di dedicarti alla musica e perché?
Onestamente, non superavo il mese di prova in qualsiasi altro lavoro, andavano sempre tutti in fretta dico ma dove vorrete mai arrivare, sulla luna? In musica è diverso il tempo lo dai tu. Suoni per chi ti pare, dove ti pare, quando ti pare. Per me la questione era piuttosto seria: vivere per suonare, o suonare per vivere?
Quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo della musica?
La prima incisione avevo cinque anni. Mario Berti aveva uno studio in casa, m’insegnò una canzone in una lingua che non capivo, poi me la fece ripetere una decina di volte s’un Revox a bobine che per quei tempi era notevole. Strana impressione all’ascolto non riconoscevo la mia voce, sembrava un coro di bambini! Lo era, in un certo senso.
Qual è il tuo genere musicale?
Mi occupo di canzoni e forme di poesia per musica perciò svolazzo dall’opera al carosello, dalle serenate allo swing, dal valzer all’hard rock, dalla Stele di rosetta all’antologia di Spoon River. Non conta mai quel che canti, ma a chi lo canti e perché.
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Quali artisti hanno influenzato la tua scelta musicale?
Tutti quelli che ho conosciuto e con cui ho praticato, sono in tanti più o meno famosi. Professionisti e non. Suonatori popolari, cantautori, jazzisti, rockettari, punkettoni. M’interessa in particolar modo la parola musicale. E’ importante, oggi al testo si guarda sempre meno.
Hai mai pensato di mettere insieme una band per i live?
Ne ho messe insieme diverse in vent’anni di carriera, gli strumenti con cui mi sono trovato più a mio agio sono il contrabbasso, la fisarmonica, le percussioni e il clarinetto. Ho cantato per un po’ anche in duetto con un pianista, il caffè-chantant all’estero è molto apprezzato.
Che cosa ne pensi dei Talent Show?
Non li seguo, non mi hanno mai invitato quindi non posso averne un’opinione, perché non li conosco. Se il tuo mestiere è cantare e suonare allora sei come uno che abita sull’arcobaleno, ti scompare all’improvviso e riappare da un’altra parte. Dove ti trovi, bisogna che trovi il modo per starci in piedi.
Che cos’è la musica per te?
Un modo come un altro per guadagnarmi da vivere, “We are in it only for the money” diceva quello. Certo è anche un modo per non parlarmi addosso, la rete per il ping pong. Quando scrivi su musica o per la musica, devi stare nel metro.
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Swing all’italiana
Quando prevedi di uscire con un nuovo singolo o un nuovo album?
Quando trovo un buon partner nella distribuzione. Come ripeteva sempre il produttore Renzo Fantini, oggi un disco non si nega a nessuno. Il problema è vendere. Troppa offerta, poca domanda. E’ un mercato saturo, ma sono convinto che un buon distributore sappia muoversi anche nella terra bruciata.
Abbandoneresti l’Italia per vivere un’esperienza musicale all’estero?
Non vedo il motivo per cui non dovrei farlo. Sono stato un paio di volte a suonare in Germania, ma non ho difficoltà a spostarmi anche più lontano. Dipende sempre da chi paga e quanto paga, come dire un viaggiatore assai poco romantico.
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